Nel momento in cui arriva in redazione la notizia del suicidio di Sorana, Cesare per un attimo continua scrivere, non mettere il punto al periodo che sta elaborando gli sembra come poter non porre fine alla vita di lei. Pare uno stupido gioco, simile a quelli che faceva da bambino, quando lo spazio e il tempo avevano altre dilatazioni: soggettive e interiori. Dopo il prologo iniziale, il romanzo riparte da qualche anno prima, alternando la storia dal punto di vista di Cesare, studente brillante che finirà a lavorare in un piccolo giornale, e di Sorana, ragazza romena arrivata in Italia con Erasmus senza aver chiuso i conti con il suo scabroso passato.

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Il nuovo romanzo di Vincenzo Fiore, “Storia di Sorana” (Nulla Die, pp. 178, € 18,50), è una storia intesa, narrata a due voci, dove il lettore è costantemente rapito dalla tensio- ne emotiva che accompagna tutte le 178 pagine. Fra i massimi esperti di Emil Cioran, Fiore racconta il dramma di una Romania devastata da una quarantennale dittatura, entrando dritto fra le fogne e i tombini di Ferentari, dove per anni generazioni di orfani hanno vissuto disillusi da un mondo che non gli ha mai permesso di scorgere altro.

    Scriveva il filosofo rumeno che vale la pena leggere soltanto i libri che pro- vocano delle ferite, che colpiscono come un coltello, che in qualche modo ti cambiano, Storia di Sorana fa esattamente questo. Una ragazza nata e cresciuta fra i paesini sperduti dei Carpazi, è costretta a fare i conti con il mostro di suo padre. Oltre ad essere un racconto di orrore e ingiustizie qui però c’è altro, lo sfondo di una paese che appare senza destino, o meglio, un destino che sembra un’impasse senza soluzioni. Sorana proverà a fuggire, ma a volte non si può andare da nessuna parte, poiché bisogna fuggire soltanto da sé stessi.