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PsicoJazz: Anile racconta Cusa (Digressione 64)

16 Agosto 2016 - DIGRESSIONI

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Francesco Cusa (Catania 1966) Batterista, compositore, scrittore. Si laurea al Dams di Bologna nel 1994 con la tesi: “Gli elementi extramusicali nella performance jazzistica”.
E’ leader del FRANCESCO CUSA TRIO, F. CUSA”SKRUNCH”, FRANCESCO CUSA & THE ASSASSINS, dell’ensemble: “THE NAKED MUSICIANS”, di “SOLOMOVIE” plays Buster Keaton. E’ co-leader di SKINSHOUT! (Gaia Mattiuzzi/F.Cusa), JARUZELSKI’S DREAM (Piero Bittolo Bon/Stefano Senni, F.Cusa), TRY TRIO (Nicola Fazzini/Gabriele Evangelista/F.Cusa), SWITTERS (Gebbia/Vasi/Cusa), MANSARDA, WAR DUO (Marcello Di Lorenzo/F.Cusa), MANCUSA (Giovanni Mancuso, Francesco Cusa) FRANK SINAPSI (Cusa/Merlin), THE MACHINE (Cusa/Lenoci/Martino). Collabora inoltre con il PAOLO SORGE “Trio” (Sorge, Evangelista, Cusa), l’ HOMAGE A STANLEY KUBRICK (Manzoni, Campobasso, Senni, Cusa), ITALIAN SURF ACADEMY (Marco Cappelli, Luca Lo Bianco, Cusa), TAN T’IEN TRIO (Luca Dell’Anna, Ivo Barbieri, Cusa).

(Nella foto di Cinzia Guidetti, Francesco Cusa mentre dirige Naked Musicians al Teatro Rossi di Pisa nel maggio 2015).


Fonda “Naked Musicians”, un workshop aperto a tutti gli strumentisti e senza limiti di competenza e preparazione specifica; è stato realizzato in varie parti del mondo. Dal 2010 con lo scrittore Salvatore Massimo Fazio tesse stretta collaborazione di sperimentazione alla voce e alla performance, con quest’ultimo si presentano al Salone del Libro di Torino 2014, a Roma, Pisa, Catania dando una impronta nuova con lo spettacolo “Omaggio agli Squallor”.
Da alcuni anni alterna la professione del musicista a quella dello scrittore di novelle e di critico cinematografico per la rivista “Lapis”. Collabora dal settembre 2013 con la rivista “Cultura Commestibile”, con scritti di cinema e curando la rubrica “Il Cattivissimo” .
La sua voce è presente nel “Dizionario del Jazz Italiano” a cura di Flavio Caprera.

il 13/8/2016  Paolo Anile presenta a Randazzo (ct)  Novelle Crudeli, Eris Edizioni e Ridetti e Ricontraddetti (Carthago Ediore), di Francesco Cusa. Di seguito la recensione.

I personaggi che incontriamo nelle “Novelle Crudeli” si pongono di fronte a noi sorridendoci con un ghigno tragico e che puzza di vino stantio. Sembrano eroi decaduti provenienti da un mondo che solo in apparenza potrebbe essere irreale. Si nascondono per riapparire nella loro vera realtà sconcertante.

Sembrano persone sospese a mezz’aria, la testa nascosta e immersa tra bianche nuvole e un baratro nero senza fine sotto i loro piedi. La loro improbabile sospensione a mezz’aria è sostenuta da un semplice palloncino d’aria compressa, che contiene le loro credenze, follie, ossessioni, fantasie, teorie sulla vita, abitudini becere e inconcludenti come l’aria fritta. A un certo punto, non rimane che precipitare giù all’improvviso e sfracellarsi nel contatto con la dura realtà; oppure tentare di volare immergendosi in un nuovo stato di coscienza che, almeno in apparenza, è peggiore del precedente.
Si intravede, in questi racconti, una separazione tra una vita osservata dal di fuori ed una vita interiore che segue il proprio flusso di coscienza. Mondi e universi paralleli, apparenze sociali, nascondimenti, svelamenti, gioielli ingurgitati all’interno del proprio corpo come fosse una banca svizzera, ossessioni nascoste in mezzo alle circonvoluzioni cerebrali, perversioni mentali, paure, follie interiori. Eppure, più forte è il tentativo di celare, maggiore è l’urgenza di svelare una realtà che esiste dietro alle cose, alle persone, agli oggetti. E così che compare in questi racconti di Cusa il bisogno di smascherare l’inganno che esiste dietro alle apparenze. Questi personaggi sono, tante volte, agiti da forze che possono essere misteriose oppure ovvie, spirituali o brutalmente terrene, interiori o esterne a sé: non importa che forze siano, perché rimangono comunque spinte che prendendo il controllo dell’individuo glielo fanno perdere.
Ed anche la parola si fa portavoce di questa urgenza, poiché nel suo destrutturarsi, morire, rinascere, ricostruirsi, inventarsi continuamente contribuisce a svelare significati possibili e impensabili che esistono dietro alle cose. L’inganno può essere, così, raggirato e svelato, le apparenze possono nascondersi e una mascherata realtà può essere incoraggiata a riemergere al di là delle apparenze. Tutto può diventare il contrario di tutto e persino ciò che appare dissacrante in realtà non lo è, perché Cusa ha un gran rispetto del sacro.
Questo schema di duplicità si riflette anche altrove. Esiste una profonda leggerezza, ironia, istintualità, all’interno di un profondo pozzo filosofico di riflessione, di cultura sottostante, di citazioni colte, potenti, ma mai ostentate. Un linguaggio alto che parla di cose basse. Una realtà materiale ed una coscienza interiore invisibile. Una serietà dura ed un sarcasmo irriverente. Una disciplina ed una insubordinazione sfrontata.
Si può immaginare che questi personaggi possano essere usciti fuori tanto dal circo quanto da un film horror. Certe descrizioni potrebbero essere la materializzazione di un fumetto di Jacovitti, di una scena teatrale di Jarry o di Ionesco, di una tela
surrealista, di uno strano e divertente scritto di Queneau. Ma la loro realtà è più vera dell’immaginazione. Si tratta di aspetti reali della vita, di verosimili possibilità, di cose realmente successe o che, senza alcun dubbio, prima o poi succederanno. Perché si tratta di racconti che vomitano sul lettore quanto di peggio può accaderci. La maschera dei personaggi è la nostra maschera, perché siamo noi lettori di parole che veniamo chiamati in causa ad indossarla.Le descrizioni, acuminate come spilli, riescono ad accendere i nostri sensi, spesso spingendoci verso un declino che ci obbliga a scivolare verso una dimensione bassa, uno stato di coscienza inferiore, terreno, istintuale. Il crollo che tanti di questi personaggi subiscono tuttavia non è, a mio modo di vedere, ineluttabilmente negativo; la caduta verso il basso potrebbe, se ben canalizzata, fornire una spinta verso l’alto. Eppure, difficilmente conosceremo la sorte di questi personaggi, la cui storia si interrompe come se al cinema mancasse improvvisamente la luce, costringendo gli spettatori rimasti al buio ad immaginare le scene successive. In ogni caso, l’apparente perdizione di questi personaggi ed il loro crollo non rappresenta certamente una punizione. Non ci troviamo di fronte a racconti morali, né tanto meno immorali. Forse gli esemplari umani di questi racconti solo attraverso la morte, oppure un evento folle, assurdo, inspiegabile, drammatico, estremo, hanno la possibilità di vedersi negli occhi e smarrendo la consapevolezza di sé hanno la possibilità di recuperarla. L’estrema follia potrebbe essere l’ultimo tentativo, l’ultima risorsa, di spezzare la normalità logora della propria coscienza. Pensare l’impensabile può aiutare ad aprire la coscienza verso il nuovo. È la finale disperazione, più o meno riuscita, di cercare altro da sé, di rompere la normalità quotidiana in cui si ritrovano intrappolati a vivere.
I racconti, come gli aforismi, sembrano essere racconti contro ogni forma di normalità. Essi esprimono la ripugnanza, non verso la follia, quanto nei confronti di una realtà prevedibile, scientifica, dove tutto appare chiaro: in fondo un’umanità del genere è ben più interessante di un’umanità normale, supponibile, scontata e noiosa. E, proprio il gusto per l’impensabile, per lo stravolgimento delle certezze ha un potere enorme di divenire fonte di creatività, di rigenerazione, di verità.
Racconti, aforismi, frasi, parole, sillabe, fino alle singole lettere insignificanti dell’alfabeto si capovolgono, si reinventano, producono significati nuovi, si reimpastano come gli ingredienti di una nuova ricetta di pasta per la pizza. La parola viene destrutturata, sverniciata, riportata all’essenza; diviene la tessera di un puzzle che viene smontato per ricostruire immagini nuove.
La funzione che posseggono le parole, come le singole lettere dell’alfabeto, può essere infinita, come infinite possono essere le combinazioni delle note musicali. Ed il loro significato può essere palese, evidente, suggerito, implicito o reinventato. E, naturalmente, quanto più il linguaggio esce destrutturato, terremotato e ricostruito, frammentato e riorganizzato, tanto più questo lavoro suggerisce aspetti nuovi e reconditi delle parole. Siamo entrati, così, nella creatività, perché ogni tentativo di destrutturare il linguaggio, come ogni tentativo di destrutturare l’umanità, non rappresenta una catartica aggressione verso le cose fine a se stessa, ma una possibilità di invenzione e di apertura al nuovo.Gli aforismi, ancor più dei racconti, uccidono e fanno resuscitare il linguaggio. E’ una reinvenzione funambolica di una frase-partitura simile a quella che un jazzista può fare con uno standard. E questo gioco, sgrammaticando, mordendo le parole e restituendocele digerite, non può che suscitare divertimento liberatorio o riflessioni acute.
Gli aforismi possono essere digeriti subito oppure no: a volte arrivano immediati come un duro colpo che spacca la pelle di una grancassa, altre volte giungono mediati da una lunga eco che arriva solo dopo essere sopravvissuta nel tempo come il fruscio leggero di spazzole su un rullante.
Per tutti questi motivi, i racconti e gli aforismi potevano essere scritti e immaginati solo da uno scrittore senza paura o, meglio, da uno scrittore coraggioso.
Perché i racconti e gli aforismi di Cusa sono come delle supposte che sfidano la resistenza delle nostre parti più basse: piccoli, dolorosi, ma terapeutici.

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