
IL LATO PIÙ AMBIGUO DEL MESTIERE GIORNALISTICO
“Buono per incartare il pesce”, tra verità e clamore
“Buono per incartare il pesce“, (Castelvecchi, pp.111, 16 euro ), di Willy Labor è un romanzo che si schianta con forza ecumenica al dilemma dell’onestà da mantenere quando fai un lavoro come il giornalista. Focus è l’interrogarsi su cosa serve davvero la scrittura e quanto si è disposti a barattare la verità in nome del clamore.
Fruibilissimo al lettore, chi lo introietta si chie- de costantemente quale lavoro riesce a non tentare l’uomo a barattare la propria coscienza, la propria dignità e il proprio rispetto per l’altro a favore di coup de théâtre che gli diano visibilità. Willy Labor, approfondendo quella che è la sua professione, consegna al lettore un romanzo breve ma dal respiro ampio, mettendo a fuoco uno dei dilemmi più attuali: la funzione dell’informazione e il suo progressivo slittamento da strumento di verità a merce di consumo. Il protagonista è Gianni Crevatin, un giornalista triestino“sospeso” tra vocazione e disincanto. Questi è costretto a misurarsi con il lato più ambiguo del mestiere quan- do gli viene commissionato un articolo scandalistico volto a screditare un candidato politico. In quel gesto professionale, apparentemente banale, si annida la vertigine di una scelta morale: piegare la parola alla convenienza editoriale o resistere al richiamo del successo facile? Inattesa giunge la spedizione di Crevatin in Vietnam, dove incontra Beatrice, figlia dell’editore, impegnata in una missione umanitaria. In quell’altrove, lontano dal cinismo della redazione, il protagonista scopre la misura di un impegno che non produce titoli ma cambia vite. Il contrasto tra il clamore dello scoop e la silenziosa operosità del volontariato si tradurrà in parabola etica che lo spingerà a chiedersi sul senso del giornalismo e, più in profondità, sull’utilità dell’agire umano.

